Fonte: Frate Indovino, Agosto 2023 articolo di Filippa Dolce
Nel report pubblicato sul sito del Viminale che riporta i dati ufficiali del Dipartimento di pubblica sicurezza, si legge che dal 1° gennaio al 18 giugno 2023, in Italia sono stati registrati 151 omicidi. Le vittime donne sono 55, di cui 45 sono state uccise in ambito familiare o affettivo, la gran parte assassinate per mano del partner o dell’ex partner. Questi ultimi omicidi sono definiti “femminicidi”, dall’inglese femicide. Un termine introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russell, all’interno di un articolo del 1992, per indicare le “uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne (…) un tipo di assassinio che rappresenta la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”. Certi uomini, quindi, uccidono perché sono contro le donne. Ma è possibile spostare l’attenzione da una visione che in gran parte legge il problema come “di genere” ad una più ampia che mette tutti di fronte alle proprie responsabilità di attori di una “emergenza sociale”?
Lo abbiamo chiesto al professor Tonino Cantelmi (psichiatra, psicoterapeuta specializzato in neuro- sviluppo e ordinario di Psichiatria dell’Università Gregoriana di Roma) e al dottor Alberto Pellai (psicoterapeuta dell’età evolutiva, medaglia d’argento 2004 al merito della sanità pubblica, autore di best sellers per genitori, educatori e ragazzi). Entrambi convergono sull’idea che non si tratti di un conflitto e che prevenire è possibile. Ma è urgente mettere in atto una adeguata educazione emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale fin dall’infanzia.
INTERVISTA A TONINO CANTELMI
A che tipo di “scontro” stiamo assistendo? Non la vedo semplicemente come un conflitto di genere, ma come un cortocircuito in cui sono in gioco molte dimensioni: l’incapacità di alcuni uomini di gestire in modo autentico l’intimità, la frustrazione e la dipendenza affettiva di alcune donne. Un cortocircuito il cui esito finale è determinato da ampie immaturità da parte sia dell’uomo che della donna. Quali sono le caratteristiche degli uomini e delle donne coinvolti in questi fatti?
In generale, si tratta di uomini con una personalità caratterizzata da componenti narcisistiche, istrioniche, borderline e antisociali. A volte a queste caratteristiche si associa anche una dimensione sadica. Il combinato fra la dimensione sadica e l’antisocialità rende le persone narcisistiche particolarmente pericolose. Sono persone che non tollerano la minima frustrazione relazionale, che creano meccanismi di dipendenza, che manipolano l’altro in maniera anche sofisticata. Queste caratteristiche sono già molto evidenti nel percorso di formazione della relazione di coppia. In realtà si palesano abbastanza precocemente, ma sono ben mascherate e difficili da decifrare. Le donne che entrano in relazione con questi uomini tendono ad instaurare legami caratterizzati da dipendenza affettiva, sono immature e bisognose di conferme. Presentano un forte bisogno di sostegno, un profondo senso di insicurezza e di inadeguatezza, ma soprattutto una radicale carenza di autostima. Questo mix relazionale (narcisismo-dipendenza) è micidiale.
Questo quadro ci può fornire informazioni per fare prevenzione?
Assolutamente sì. Il quadro ci mostra che è molto importante curare lo sviluppo psico-affettivo di nostri bambini e dei nostri adolescenti. Purtroppo, il grande educatore psico-affettivo e sessuale dei nostri tempi è costituito dalla pornografia. Lo dico come dato oggettivo, senza moralismo. Le conseguenze della “ipersessualizzazione” precoce della nostra infanzia sono psicopatologiche e a volte anche molto gravi. Si pensi solo che l’accesso a immagini pornografiche ha sfondato la barriera degli 11 anni. Questo vuol dire che i modelli psicosessuali caratterizzati dalla mercificazione e dalla oggettivazione del corpo femminile stanno “formando” le nuove generazioni. Ecco perché bisogna dare una risposta sana ai nostri figli! Occorre promuovere innanzitutto percorsi di cre scita psicoaffettiva già nelle scuole, ma anche nelle parrocchie e negli oratori. Purtroppo le famiglie, aggredite da mille problemi, non sono oggi in grado di contrastare da sole le derive di spinte psicosociali che deformano la vita affettiva e la crescita sana dei nostri ragazzi.
INTERVISTA A ALBERTO PELLAI
Dimensione maschile contro universo femminile. Qual è il problema?
Ci troviamo in una situazione dove la cosa più bella della vita, cioè l’amore, diventa la causa della cosa più terribile, cioè l’omicidio. E se la zona di massima protezione che dovremmo vivere, cioè la relazione con l’altro, diventa invece una zona di aggressione, distruzione e morte, vuol dire che dell’amore non abbiamo capito niente. Però la questione di genere esiste. Provo a spiegare. Mentre per le bambine e le ragazze c’è tutto un lavoro educativo che il femminile sa fare, come accompagnare le bambine ai cambiamenti del corpo (le mamme preparano le proprie figlie al menarca), e c’è più attenzione al discorso delle emozioni, degli affetti e della sessualità; nel mondo maschile, invece, tutta la parte relativa alle competenze emotive, affettive, sentimentali e sessuali è calata in un deserto educativo, nessuno prepara i maschi a tutti i cambiamenti che connotano le diverse fasi della vita. Nessuno si accorge che in questo momento i maschi hanno una accelerazione enorme dentro al territorio della pornografia, data anche dalla iperreattività legata ai videogiochi. Nessuno offre narrazioni che sono anche emotive, affettive e sentimentali al maschile, per cui tutto quello che gli arriva è azione ed è lì che probabilmente si crea una differenza di genere. Questo da una parte deriva da ciò che è stato trasmesso di generazione in generazione. Nell’educazione dei maschi la competizione, l’affermazione si sé in una dimensione di predominio è molto più sostenuta rispetto ad una visione di cooperazione, partecipazione e relazione. È come se noi pensassimo che far crescere bene le ragazze vuol dire dotarle di quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) chiama “abilità per la vita” e, invece, far crescere bene i maschi vuol dire generare per loro esperienze di affermazione di sé, che non è legata a una competenza umana ma a una prestazione, ad una azione vincente.
Quindi il livello sul quale bisogna intervenire per fare prevenzione è quello educativo?
Sì! Credo che la vera rivoluzione stia qui! E credo che il cambiamento radicale sarà quando il maschile sarà coinvolto nell’educazione sentimentale, non solo quella familiare ma anche quella scolastica e comunitaria, al pari del femminile. L’altro aspetto rivoluzionario è sostenere il più possibile le competenze genitoriali paterne fin dal momento più precoce, perché se un papà è presente nella vita del suo bambino fin dai primi giorni e usa le proprie mani per i gesti di cura, quelle mani imparano la tenerezza e automaticamente eserciteranno violenza o abuso. L’altra cosa necessaria per gli uomini – nella prospettiva di quella che chiamiamo “prevenzione della violenza di genere”, ma che in realtà è “promozione delle proprie competenze umane emotive socio-relazionali” – è metterli nella condizione di dare validità e significato alla loro vita interiore e rimanervi profondamente in contatto. Quando lo psicoterapeuta lavora con un uomo si rende conto, tantissime volte, che il dolore e la sofferenza sono lì da tempi antichissimi. Nel mio libro “Ragazzo mio” racconto la trasformazione culturale che permette al maschile di uscire dal codice del “vero uomo” per entrare in un codice più umano, quello dell’“uomo vero”. È lì la transizione che dobbiamo compiere. Ci sono delle regole comportamentali di base che ciascuno di noi può seguire? I padri di oggi devono essere i testimoni di questo cambiamento, cioè lo sguardo che pongono sul femminile, il modo di usare i termini, le parole, i gesti nei confronti delle donne sono il primo modello con cui si può promuovere un cambiamento dentro alle relazioni importanti che modellano l’immagine della vita. Invece, nel nostro contesto socioculturale assistiamo alla incredibile banalizzazione e volgarizzazione del contatto tra maschile e femminile. Gran parte dei nostri figli maschi in età precoce guarda la donna come un corpo o un contenitore di piacere, un oggetto da possedere (iconografia pornografica). Recenti ricerche ci dicono che è cresciuta tantissimo la fruizione di una pornografia molto violenta, molto aggressiva. Chi si occupa della crescita si deve occupare di questo tema con urgenza. Fin dalle scuole elementari bisogna insegnare che il dialogo maschile-femminile non è un “me contro te” ma un “me con te”. Un arricchimento, un nutrimento. Far sentire che i generi si completano, che non tendono ad eliminarsi, ad escludersi, a predominare l’uno su l’altro. La scuola può e deve intervenire sui nostri ragazzi. Ma noi adulti? Se ci sentiamo disarmati, le cose importanti sono: acquisire competenze sui territori di vita dei nostri figli di cui non sappiamo nulla e fare squadra tra adulti, genitori ed educatori.
In questa pagina: se si vuole combattere efficacemente la violenza dei maschi contro le femmine, prima delle azioni repressive è importante mettere in campo un grande sforzo formativo a partire dalle bambine e dai bambini, dai ragazzi e dalle ragazze. È fondamentale una comunicazione sociale ad ampio raggio che promuova la parità, l’uguaglianza e i diritti nelle scuole, in ambito lavorativo e, in particolare, all’interno delle famiglie. Il grande cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno parte, dunque, dall’educazione per formare donne consapevoli e uomini rispettosi.