Rivista Insght la cultura dell'altro  n. 11 - Dic 2024 - AI/HI La vita ci spia 
Articolo di Tonino Cantelmi e Silvia Stomeo

Gli autori evidenzino l’impatto psicologico dell’Intelligenza Artificiale sulla mente umana, sottolineando come la tecnologia stia trasformando le capacità cognitive, emotive e sociali delle persone. La società moderna è caratterizzata da un paradosso: da un lato, un’eccessiva razionalità data dalla tecnologia, dall’altro, una crescente impulsività ed emotività. Questo squilibrio porta a scelte rapide e spesso contraddittorie, influenzando negativamente la costruzione dell’identità e delle relazioni. La velocità dell’era digitale stimola il sistema limbico, responsabile delle emozioni, ma non lascia tempo alla corteccia frontale di elaborare razionalmente le informazioni, generando una società iperstimolata ma sempre più infelice e solitaria. Il rischio, secondo Cantelmi, è una mutazione antropologica in cui gli esseri umani diventano sempre più simili alle macchine, mentre i robot acquisiscono caratteristiche umane, ma senza poter mai dare un vero significato all’esperienza del vivere.

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“Negli anni ’90 qualche esponente del mondo scientifico propose l’idea che prima o poi ci saremmo trovati in una realtà incomprensibile, che avrebbe cambiato il modo di vivere e di pensare la vita.

Tutto ha origine a partire dal secondo dopoguerra, quando nel 1950 il matematico inglese Alan Turing propose il concetto di machine learning, secondo il quale le macchine avrebbero avuto la possibilità di imparare mediante un programma educativo capace di evolvere verso modalità di ragionamento della mente adulta. Lo studioso suggerì che un algoritmo può essere definito intelligente nella misura in cui è in grado di imitare una macchina come se fosse una riproduzione del funzionamento mentale umano: lo scopo era quello di verificare se un programma digitale fosse capace di interagire con dei soggetti senza che questi si accorgessero che il loro interlocutore fosse artificiale (Imitation Game).

Il pensiero rivoluzionario sviluppato da Turing, pose le basi per le future ricerche in campo tecno-scientifico e per la diffusione del termine Intelligenza Artificiale o IA, coniato da John McCarthy cinque anni più tardi (1955).

Per quanto riguarda la psicologia e la psicoterapia, il progresso dell’Intelligenza Artificiale ha comportato notevoli cambiamenti e innovazioni: pensiamo, ad esempio, all’uso delle chatbot, introdotte per la prima volta negli anni ’60 con ELIZA, uno psicoterapeuta artificiale ad approccio rogersiano; oppure agli interventi psicologici di ultima generazione con APP e psicoterapie online.

Lo schema del machine learning apre, dunque, uno scenario cruciale: gli attuali sistemi di auto-apprendimento sono in grado di apprendere continuamente dall’ambiente in cui operano, riconoscere ed estrarre i dati interessati al fine di modificare il proprio comportamento. Il risultato è un algoritmo sempre più intelligente e capace di apprendere.

Tali innovazioni, oltre a comportare mutazioni in campo tecnologico, rappresentano anche uno straordinario motore di cambiamento sociale e di trasformazione culturale, che ha posto l’uomo del III millennio di fronte un passaggio evolutivo importante. Assistiamo, infatti, ad una ristrutturazione delle capacità cognitive, emotive e sociali capaci di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni interpersonali.

Verso la fine del XX secolo, Vernor Vinge, scrittore e professore di matematica, introdusse il concetto tanto dibattuto di “singolarità tecnologica”. Con tale espressione intendeva portare in relazione il concetto di singolarità, ossia un evento dirompente in grado di cambiare tutto in un solo istante, con quello di tecnologia, con particolare riferimento all’intelligenza artificiale, per delineare l’idea di un cambiamento radicale che coinvolge l’intera umanità.

Stando al ragionamento logico di Vinge, entro il 2030 creeremo intelligenze superiori a noi innescando un processo che renderà la realtà incomprensibile per gli esseri umani, tanto quanto la nostra civiltà è incomprensibile per un pesce rosso.

Quello che stiamo vivendo, dunque, non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Siamo in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari ed incrementali, bensì epocali, costituiscono cioè delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di comunicare ed elaborare il pensiero e di rapportarsi tra le generazioni umane.

In altri termini, siamo in un’epoca transepocale (Pozzi, 2019), caratterizzata da un cambiamento trasformativo e discontinuo in cui tutto rischia di essere consumato rapidamente.

A proposito di velocità, un altro concetto diffuso è quello di accelerazione tecnologica utilizzato per rimarcare il fatto che nella società 4.0 il ritmo di vita e le modificazioni dovute all’impatto delle nuove tecnologie sono molto più veloci di qualche secolo fa: ogni giorno creiamo 2,5 quintilioni di byte di dati; negli ultimi due anni nel mondo la percentuale di dati creati ammonta al 90% e con l’emergenza di nuovi dispositivi digitali si prevede che il tasso di crescita di questi dati tenderà ad aumentare ancora di più.

Nell’era della rivoluzione digitale, quindi, il mezzo con cui l’uomo si sta evolvendo è la tecnologia che coinvolge quasi tutti gli aspetti della vita ed influenza in maniera significativa la costruzione della mente umana, accelerando i processi e aumentando la rapidità delle attività e delle relazioni. Questa società così ipertecnologica sembrerebbe estremamente razionale, eppure ha un’importante dimensione impulsiva. È fluida, veloce, esalta “l’emotivismo” e si fonda sulla ricerca di emozioni che spingono l’individuo ad agire in maniera troppo poco ragionata.

Nel suo lavoro lo scienziato italiano Maffei (2014), dimostra come la tecnologia non fa altro che stimolare il sistema più antico e profondo del nostro cervello, il sistema limbico, suscitando risposte emotive rapide ed immediate. Queste risposte istintive passano dalla corteccia frontale, più lenta e razionale, per essere elaborate e rese appropriate. Tuttavia, la tecnologia ci esorta ad avere una velocità tale da non riuscire a garantire un’adeguata elaborazione, per cui le scelte nella vita sociale, emotiva, affettiva, relazionale e lavorativa risultano spesso rapide e contraddittorie tra loro.

Dunque, vi è da un lato l’eccesso di razionalità rappresentato dalla tecnologia e dall’altro l’eccesso di impulsività: è questa la grande contraddizione dell’uomo postmoderno che dovrà necessariamente fare i conti con il tema della felicità, legato alla capacità di dare senso e significato all’esperienza umana, senza la quale tutto diventa assurdo.

Paradossalmente, in questo momento di straordinaria evoluzione tecnologica e al tempo stesso di incredibile ritorno, quasi regressivo, all’istintualità dell’uomo, la ricerca della felicità e la sua impossibilità di ottenerla, senza la capacità di ristrutturare l’esperienza umana alla luce di sensi e significati, genererà probabilmente un incremento di infelicità.

Possiamo affermare che a siamo di fronte ad una mutazione antropologica in cui le tecnologie sono sempre più umanizzate e gli uomini sempre più tecnologizzati.

Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, qualsiasi scenario futuro non può prescindere dal software, cioè da algoritmi e dall’intelligenza artificiale che è molto più attendibile e precisa di quella umana. I robot, infatti, si evolvono, hanno un ampio bagaglio di conoscenze essendo in grado di apprendere con velocità una quantità elevata di informazioni, rispetto a quanto potrebbe fare un essere umano. In questo senso, saranno in grado di progettare, prendere decisioni rapidamente ed efficacemente, con una probabilità minore di commettere errori, promettendo di risolvere molte questioni in diversi ambiti, come quello medico, industriale e sociale. Basti pensare alle sperimentazioni in Giappone su robot sociali che fanno compagnia a persone sole o che accudiscono gli anziani, robot che diventano consiglieri personali come principale fonte di informazione, macchine robotizzate nel campo aziendale che studiano il mercato e le tendenze degli uomini per fornire consulenze appropriate, o ancora robot in campo medico che possono prendere una decisione migliore rispetto al medico, soprattutto in situazioni difficili, avendo la possibilità di accedere più rapidamente a numerose informazioni. L’aspetto sorprendente e che solleva un importante interrogativo è la grande novità di questi robot che oggi cominciano ad avere molte caratteristiche dell’umano, come emozioni e sentimenti. È chiamato Affective computing, il ramo dell’Intelligenza artificiale che studia e sviluppa tecnologie in grado di riconoscere ed esprimere i vissuti emotivi, si tratta di robot che, grazie a programmi innovativi e tecnologie altamente sofisticate, analizzano e registrano i segnali emotivi mediante le espressioni facciali, la postura, la gestualità del corpo e il tono di voce. Sono intelligenze artificiali capaci in tempo reale di riconoscere un volto umano, di identificare le espressioni facciali e di collegarle alle comuni emozioni di base come la rabbia, la paura, la tristezza e la gioia. Tramite questo meccanismo i robot potranno leggere il nostro umore ed essere empatici verso di noi, ad esempio, se appariremo tristi o giù di tono, ci potranno leggere un libro o farci ascoltare una canzone allegra per consolarci e farci stare meglio.

Se da un lato, però, le sorprendenti novità del mondo digitale e tecnologico ci affascinano e ci aiutano il più delle volte a risolvere molti dei nostri problemi, dall’altro ci pongono davanti a profondi interrogativi sulla natura del nostro essere, su ciò che ci contraddistingue in qualità di umani.

Un’altra caratteristica della società tecnoliquida è la spiccata tecnomediazione della relazione, affidata alla “connessione” e ricca di condivisioni online all’interno di un cyberspazio dedicato all’esibizione di se stessi, alla creazione di un’immagine ideale di sé, in cui è escluso il reale incontro con l’altro.

Oltre all’incremento dell’infelicità, nella nostra società stiamo assistendo anche ad un aumento della crudeltà. In particolare, c’è una sorprendente crudeltà e aggressività agita dai bambini e dagli adolescenti, come dimostrano ad esempio i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo. Questa recrudescenza dell’aggressività si lega al frantumarsi delle reti umane, sociali, affettuose e solidali.

Alla luce di ciò, la sensazione è che la società postmoderna dovrà fare i conti con l’esasperazione di una solitudine esistenziale dell’individuo, un individuo sempre più connesso, stimolato, ma esistenzialmente sempre più solo.

E forse nessuna forma di socializzazione virtuale riuscirà a placare l’irriducibile bisogno di incontro con l’altro, proprio dell’uomo e della donna di ogni epoca, un incontro autentico, prepotente e vitale che oltrepasserà il mondo tecnoliquido.

Gli androidi potranno anche avere delle qualità cognitive superiori e provare emozioni e sentimenti similarmente all’uomo, ma c’è una cosa che non potranno mai fare: non potranno mai arrivare a dare un senso ed un significato all’esperienza del vivere”.

 

Riferimenti bibliografici

 

Cantelmi T, La mente tecno-liquida ai tempi di internet: una nuova sfida per la comprensione umana, Psicologia Contemporanea n.277, pp. 36-41, 2020.

Cantelmi T, Polidoro P, Online Love. L’amore ai tempi dei social. Un manuale di sopravvivenza, Edizioni San Paolo, 2023.

Carrozza MC, I robot e noi, il Mulino, 2017.

Maffei L, Elogio della lentezza, il Mulino, 2014.

Messina D, La tutela della dignità nell’era digitale, Editoriale Scientifica, 2023.