Fonte: Corriere Adriatico del  19 Ottobre 2024
Articolo di Tonino Cantelmi 

Il web impazzisce per Sammy Basso, il bambino-vecchio, allegro e grato per la vita nonostante la progeria, quel mostro che trasforma in vecchi e rugosi i corpi troppo giovani. Già, però quanta ipocrisia! È lo stesso web, scintillante e narcisista, che odia la bruttezza della sofferenza vera e ama corpi omologati Photoshop, feste, aperitivi e tutto ciò che stupisce in perfetto stile tecno-barocco. È lo stesso web frequentato da haters che hanno fatto a pezzi il corpo di Matilde Celentano, malata oncologica offesa senza pietà per aver tentato un coping estetico alla malattia. È lo stesso web che mette in vendita corpi erotizzati su OnlyFans, sdoganando una mercificazione senza precedenti. È lo stesso web che inonda il cyberspazio di pornografia, che ormai ha abbattuto il tabù degli 11 anni: troppi bambini hanno accesso troppo precocemente alla pornografia, che è divenuta la fonte prevalente di educazione (?) sessuale per la generazione I-Gen. Insomma, ben venga l’osanna web per Sammy, però anche basta con l’ipocrisia social. Vogliamo parlare, per esempio, dell’ambiguo rapporto social-minori? Ricorderete che qualche anno fa Netflix lanciò il docufilm “The social dilemma”. Certo, un docufilm sensazionalistico e drammatico, ma terribilmente vero nello svelare la potenza manipolativa dei social proprio sui minori. Oggi abbiamo molti dati scientifici che reclamano prudenza nell’esporre precocemente i bambini allo scintillìo digital e all’intrigo social. Eppure, così come non siamo capaci di difendere i nostri figli dal tabacco, dall’alcol, dal gioco d’azzardo, dalla pornografia e dalle droghe (tutte faccende altamente lesive per i cervelli in fase di sviluppo e infatti vietate dalla legge, senza alcun reale successo), così siamo incapaci di proteggerli dal digital dilemma.

Ma il campanello d’allarme suona più o meno così: studi più recenti hanno analizzato la correlazione tra l’uso della tecnologia nei giovani e la salute mentale, dimostrando che alcune forme di disagio mentale, come l’ansia e la depressione o i comportamenti esplosivi, distruttivi, rabbiosi ed autolesivi, sono in aumento. E i social che c’entrano? Tra questi studi ne segnalo uno: l’indagine condotta da Twenge et al (2022) suggerisce un incremento dei sintomi depressivi negli adolescenti tra il 2005 e il 2017 pari al 52% e un aumento del 43% del tasso dei giovani che hanno dichiarato di pensare al suicidio e questi dati sono, sulla base di quello studio, altamente correlati all’uso massiccio dei social. Ancor prima nei Paesi europei, nel decennio 2010-2020 (cioè, prima del Covid a cui abbiamo attribuito tutti i malanni dei nostri figli), l’accesso al pronto soccorso per agiti autolesivi da parte degli adolescenti è vorticosamente aumentato del 118% e il tasso di suicidio è salito del 167%. Questi dati, allarmanti, confermano l’impatto negativo che i condizionamenti culturali, come l’abuso tecnologico, possono avere sui cervelli in via di sviluppo. Potrei snocciolare altri dati, ma vorrei riassumere il senso di tutte le evidenze in una sorta di dichiarazione: “I minori non dovrebbero entrare in contatto precocemente e pervasivamente con i social media, perché, proprio per l’intrinseco meccanismo psicolesivo degli stessi social media e per le caratteristiche del cervello in fase di sviluppo, sono esposti ad un significativo potenziale danno psicologico che consiste nella dipendenza e nell’alterazione dello sviluppo psicoaffettivo”. Quindi, in considerazione del danno potenziale derivante dall’esposizione digitale in generale e ai social in particolare, quando tale esposizione è precoce, pervasiva e persistente, è necessario stabilire delle regole stringenti per l’accesso dei minori al mondo digitale e social. Ne suggerisco tre, che forse scandalizzeranno qualche tecnofilo conformista: nessuna esposizione al digitale prima dei tre anni, digital detox durante l’orario scolastico e accesso ai social dopo i 16 anni con una qualche forma di identità digitale.

Fonte: Corriere Adriatico