Fonte: Avvenire del 28/08/2022
Le difficoltà delle persone con disturbi psichici, il disorientamento delle famiglie, la
risposta dei Servizi di salute mentale. Anche questa parte del Servizio sanitario nazionale sconta difetti tipici del sistema-Italia: spesso buone leggi, scarsità di risorse – umane ed economiche – che rendono difficile l’applicazione dei buoni principi e il soddisfacimento dei diritti dei cittadini.
Su questi temi, la pagina di Avvenire del l2 agosto ha interpellato famiglie e operatori. «Mi sembra di rilevare una sostanziale sottovalutazione della gravità ed estensione del problema della mancata aderenza alle cure» osserva Renato Ventura, presidente dell’associazione di familiari La Tartavela di Milano (nonché neurologo e psichiatra). «Non è limitato- continua Ventura – a pochi casi, la punta dell’iceberg» rappresentato dai casi di cronaca gravi. Riguarda invece «un gran numero di persone affette da disturbi mentali, che, sfuggono sia all’attenzione dei Servizi e quindi ai dati che abbiano disponibili». E rifacendosi ai dati del Sistema informativo della salute mentale (Sism) del ministero della Salute segnala che «esiste un’ampia area grigia di persone, che per molte ragioni non vengono prese in carico o non hanno continuità della cura: dai dati Sism circa il 40%». Quindi, conclude Ventura, «troppo spesso casi gravi e a rischio di comportamenti antisociali o autolesivi sono abbandonati a sé stessi e alle famiglie, per carenze organizzative e per formale rispetto delle disposizioni di legge, ma con conseguente mancata assistenza o monitoraggio, se la persona affetta da disturbo mentale ha difficoltà ad aderire alle cure».
A questo proposito l’avvocato Antonella Boschi (consulente dell’Associazione italiana famiglie Adhd Lombardia), si richiama alla legge Basaglia (180/78). «Il problema più rilevante è la mancanza, in alcuni casi, di adesione alle cure di questi pazienti, ossia la totale assenza di consenso ai trattamenti farmacologici e terapeutici. Questo crea – sottolinea- dei grossissimi problemi non solo con le leggi attuali ma anche con la dottrina psichiatrica, perché se un paziente non presta il consenso alle cure, non può essere seguito in quanto è vietato costringere qualcuno a curarsi».
«Peccato – conclude Boschi – che è assolutamente sottovalutato il fatto che l’opposizione alle cure e una sostanziale negazione del proprio disagio in alcuni pazienti psichiatrici, sono proprio il sintomo della loro patologia; per cui ci troviamo di fronte alla circolarità viziosa del problema».
«Da familiare ho difficoltà ad accettare la locuzione “povertà vitale!’ traslata dal linguaggio forense- osserva Antonella Algeri, presidente dell’associazione Abbraccialo per me -, perché nega l’esistenza della patologia mentale e tende a colpevolizzare il contesto di vita, la società ed in particolare le famiglie. Certamente è innegabile che un ambiente accogliente e armonioso rende tutti più sereni e migliora le condizioni psicofisiche, ma la malattia psichiatrica ha anche una matrice biologica e una vulnerabilità di base a prescindere dal contesto ambientale».
Su quest’ultimo punto chiarisce il suo pensiero Alberto Siracusano, direttore dell’Unità operativa complessa di Psichiatria e Psicologia clinica del Policlinico Tor Vergata di Roma: «Oggi il modello riconosciuto di tutti i disturbi medici, compresi quelli mentali, è il modello bio-psico-sociale. 0gnuna delle tre componenti gioca un ruolo e la parte biologica pesa in modo diverso a seconda del tipo di disturbo». Ma «la “povertà vitale” non è un disturbo mentale, è un fattore di rischio che fa parte della componente sociale, pensiamo al bullismo». Aggiunge Siracusano: «Gli episodi di violenza, di criticità, ci devono spingere a organizzare situazioni assistenziali, per garantire alle famiglie- nel momento in cui si crea una situazione critica della patologia – un contesto di cura che renda il più sicuro possibile l’assistenza alla persona (che in quel momento non riconosce il suo stato), ai familiari e all’ambiente».
Sulle risorse offre alcuni dati Tonino Cantelmi (direttore Clinico della Casa San Giuseppe dell’Opera Don Guanella di Roma): «i problemi psichici riguardano un 30% degli adulti nel corso della vita. E già prima della pandemia l’Organizzazione
Mondiale della Sanità indicava la salute mentale come il principale problema degli anni a venire».
Inoltre «non rispondere adeguatamente ai bisogni psichici delle persone è controproducente: si brucia il 3 – 4% del Pil a causa di malattia, morti precoci, litigi, divorzi, drammi. Per gli stessi motivi diverse stime hanno calcolato che se si investe Un dollaro in salute mentale se ne guadagnano 4-5». Quanto alle cure obbligatoria, Cantelmi osserva che «si può rendere più flessibile il trattamento sanitario obbligatorio ma bisogna tenere conto della libertà delle persone e il sistema deve essere molto garantista, per evitare abusi». Altrettanto importante, conclude Cantelmi, è «valutare gli esiti e non solo i processi; e promuovere e le prassi migliori: per esempio, non tutte le psicoterapie sono efficaci, alcune dovrebbero andare in soffitta».
In ogni caso «l’unica soluzione è un approccio collaborativo tra professionisti, utenti e familiari basato sulla centralità della persona».
di Enrico NegrottiAvvenire del 28 agosto 2022
risposta dei Servizi di salute mentale. Anche questa parte del Servizio sanitario nazionale sconta difetti tipici del sistema-Italia: spesso buone leggi, scarsità di risorse – umane ed economiche – che rendono difficile l’applicazione dei buoni principi e il soddisfacimento dei diritti dei cittadini.
Su questi temi, la pagina di Avvenire del l2 agosto ha interpellato famiglie e operatori. «Mi sembra di rilevare una sostanziale sottovalutazione della gravità ed estensione del problema della mancata aderenza alle cure» osserva Renato Ventura, presidente dell’associazione di familiari La Tartavela di Milano (nonché neurologo e psichiatra). «Non è limitato- continua Ventura – a pochi casi, la punta dell’iceberg» rappresentato dai casi di cronaca gravi. Riguarda invece «un gran numero di persone affette da disturbi mentali, che, sfuggono sia all’attenzione dei Servizi e quindi ai dati che abbiano disponibili». E rifacendosi ai dati del Sistema informativo della salute mentale (Sism) del ministero della Salute segnala che «esiste un’ampia area grigia di persone, che per molte ragioni non vengono prese in carico o non hanno continuità della cura: dai dati Sism circa il 40%». Quindi, conclude Ventura, «troppo spesso casi gravi e a rischio di comportamenti antisociali o autolesivi sono abbandonati a sé stessi e alle famiglie, per carenze organizzative e per formale rispetto delle disposizioni di legge, ma con conseguente mancata assistenza o monitoraggio, se la persona affetta da disturbo mentale ha difficoltà ad aderire alle cure».
A questo proposito l’avvocato Antonella Boschi (consulente dell’Associazione italiana famiglie Adhd Lombardia), si richiama alla legge Basaglia (180/78). «Il problema più rilevante è la mancanza, in alcuni casi, di adesione alle cure di questi pazienti, ossia la totale assenza di consenso ai trattamenti farmacologici e terapeutici. Questo crea – sottolinea- dei grossissimi problemi non solo con le leggi attuali ma anche con la dottrina psichiatrica, perché se un paziente non presta il consenso alle cure, non può essere seguito in quanto è vietato costringere qualcuno a curarsi».
«Peccato – conclude Boschi – che è assolutamente sottovalutato il fatto che l’opposizione alle cure e una sostanziale negazione del proprio disagio in alcuni pazienti psichiatrici, sono proprio il sintomo della loro patologia; per cui ci troviamo di fronte alla circolarità viziosa del problema».
«Da familiare ho difficoltà ad accettare la locuzione “povertà vitale!’ traslata dal linguaggio forense- osserva Antonella Algeri, presidente dell’associazione Abbraccialo per me -, perché nega l’esistenza della patologia mentale e tende a colpevolizzare il contesto di vita, la società ed in particolare le famiglie. Certamente è innegabile che un ambiente accogliente e armonioso rende tutti più sereni e migliora le condizioni psicofisiche, ma la malattia psichiatrica ha anche una matrice biologica e una vulnerabilità di base a prescindere dal contesto ambientale».
Su quest’ultimo punto chiarisce il suo pensiero Alberto Siracusano, direttore dell’Unità operativa complessa di Psichiatria e Psicologia clinica del Policlinico Tor Vergata di Roma: «Oggi il modello riconosciuto di tutti i disturbi medici, compresi quelli mentali, è il modello bio-psico-sociale. 0gnuna delle tre componenti gioca un ruolo e la parte biologica pesa in modo diverso a seconda del tipo di disturbo». Ma «la “povertà vitale” non è un disturbo mentale, è un fattore di rischio che fa parte della componente sociale, pensiamo al bullismo». Aggiunge Siracusano: «Gli episodi di violenza, di criticità, ci devono spingere a organizzare situazioni assistenziali, per garantire alle famiglie- nel momento in cui si crea una situazione critica della patologia – un contesto di cura che renda il più sicuro possibile l’assistenza alla persona (che in quel momento non riconosce il suo stato), ai familiari e all’ambiente».
Sulle risorse offre alcuni dati Tonino Cantelmi (direttore Clinico della Casa San Giuseppe dell’Opera Don Guanella di Roma): «i problemi psichici riguardano un 30% degli adulti nel corso della vita. E già prima della pandemia l’Organizzazione
Mondiale della Sanità indicava la salute mentale come il principale problema degli anni a venire».
Inoltre «non rispondere adeguatamente ai bisogni psichici delle persone è controproducente: si brucia il 3 – 4% del Pil a causa di malattia, morti precoci, litigi, divorzi, drammi. Per gli stessi motivi diverse stime hanno calcolato che se si investe Un dollaro in salute mentale se ne guadagnano 4-5». Quanto alle cure obbligatoria, Cantelmi osserva che «si può rendere più flessibile il trattamento sanitario obbligatorio ma bisogna tenere conto della libertà delle persone e il sistema deve essere molto garantista, per evitare abusi». Altrettanto importante, conclude Cantelmi, è «valutare gli esiti e non solo i processi; e promuovere e le prassi migliori: per esempio, non tutte le psicoterapie sono efficaci, alcune dovrebbero andare in soffitta».
In ogni caso «l’unica soluzione è un approccio collaborativo tra professionisti, utenti e familiari basato sulla centralità della persona».
di Enrico NegrottiAvvenire del 28 agosto 2022