Povertà e salute mentale, una relazione pericolosa

Fonte: Galileo giornale di scienza del 10 giugno 2018


Pubblicato il 12/06/2018

Nell’agosto del 1982 Maria Ferri in Magagnini, una giovane contadina costretta a sposarsi a vent’anni e madre di più figli, entrò nella casa dei vicini urlando che aveva ucciso “il maiale”. Si riferiva al suocero – si era probabilmente difesa dalle sue violenze. Maria venne ritenuta inferma di mente e trasferita in un manicomio, dove rimase per il resto della sua vita. La storia di Maria, dal libro di Stefania Ferraro (La semimbecille e altre storie. Biografie di follie e miseria: per una topografia dell’inadeguato, Meltemi, 2017), parla di un passato lontano, dove i “poveri pazzi” venivano rinchiusi nei manicomi e isolati dalla società. Oggi i manicomi non esistono più, ma la relazione tra disuguaglianza e malattia mentale è tutt’altro che superata. Al contrario, i dati dicono che è sempre più forte, come è emerso dalle relazioni presentate al XXII Congresso Nazionale della SOPSI (Società Italiana di Psicopatologia), a Roma nelle scorse settimane, dedicato proprio al tema “Psicopatologia: connessioni, culture, conflitti”.
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I dati dell’OCSE dicono che disuguaglianza nel mondo è in aumento: nei paesi più sviluppati il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna nove volte tanto il 10 per cento più povero. In Italia il panorama è ancora peggiore, visto che da noi questo rapporto sale a undici. E la povertà porta con sé disuguaglianza non solo sul piano economico, ma anche sul piano della salute. E la salute mentale, in particolare, è uno dei rischi in agguato per chi ha meno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che i disturbi mentali sono in media due volte più frequenti tra i poveri rispetto ai ricchi, e tra le persone con i livelli di educazione più bassa o disoccupate si rileva il tasso di malattia più alto. Nelle fasce meno agiate la depressione è da 1,5 a 2 volte più frequente, il rischio di sviluppare schizofrenia è 8 volte maggiore. Secondo l’Istat dal 2005 al 2013, anni in cui la crisi economica è stata più pronunciata, l’incidenza di problemi di salute mentale è aumentata del 2,3%. Ma attenzione: la disuguaglianza non è solo quella strettamente economica. Altre condizioni, infatti, rendono più esposte le persone al rischio di patologia mentale: la disuguaglianza di genere (3 pazienti su 4 sono donne), la disparità di educazione, l’età (gli adolescenti sono i più colpiti), la regione di appartenenza, la solitudine, la povertà emotiva e affettiva.

A spiegare il legame tra le condizioni socio-economiche e il disagio mentale sono diversi fattori. L’impossibilità di mantenere uno stile di vita adeguato per sé o per la propria famiglia è causa di stress psicologico, e il confronto con chi ha di più genera sentimenti di sconfitta sociale e di vergogna. La povertà inoltre facilita l’isolamento sociale, l’alienazione e la solitudine, condizioni strettamente legate al disagio mentale. Vie è poi una componente intrinseca dimostrata in più studi: crescere in una condizione di svantaggio socio-economico ha un effetto sullo sviluppo cerebrale dei bambini, influenzando diversi aspetti cognitivi, tra cui linguaggio, memoria e attenzione.

Per questo, dice Tonino Cantelmi, psichiatra presso gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma, combattere l’isolamento sociale deve essere compito della comunità.

Professore, quali sono le implicazioni dell’aumento della disuguaglianza? “Tutti i dati convergono nel dimostrare che l’aspettativa di vita (intesa anche come qualità di vita) è inferiore nelle persone a più basso livello sociale, e che determinanti di natura sociale e politica, al pari di altri determinanti di natura medica, incidono sullo sviluppo cognitivo, sulla salute in generale e sulla salute mentale in particolare. Sappiamo anche che solamente il 24,8% dei soggetti trattati per disturbi psichiatrici in Italia nel 2015 ha un’occupazione lavorativa. È indicativo anche il titolo di studio: il 32,7% dei soggetti è in possesso di una scolarità medio bassa, il 16,8% ha una scolarità medio alta e solo il 3,8% è in possesso del titolo di laurea. Le cause di questo problema sono diverse, ma sicuramente la principale è la pesante crisi economica, che ha portato a un aumento di disoccupazione e povertà e a scelte politiche di austerità in ambito sanitario”.

Cosa è necessario fare a livello macro-sociale per far fronte al problema? “Occorrono politiche nazionali ed europee a più ampio respiro, mirate a debellare e a prevenire le povertà e le disuguaglianze. È fondamentale e urgente intraprendere politiche che tengano conto della tassazione cognitiva e psicologica delle classi sociali più disagiate, al fine di porre un argine alle disuguaglianze e contrastare il più possibile l’insorgenza di psicopatologie legate allo status socioeconomico. Ad esempio, parlando di infanzia, sono auspicabili politiche di investimenti nell’istruzione”.

E a livello micro-sociale? “Bisogna riattivare i network della solidarietà: i malati e le persone ‘difettose’ rischiano di essere lo ‘scarto’ di una società troppo veloce, troppo efficiente e troppo smart. E nello ‘scarto’ esistono gli ultimi degli ultimi: le persone che soffrono di disturbi psichici, sulle quali si abbatte uno stigma inesorabile. È compito della comunità combattere lo stigma e l’isolamento sociale”.

Articolo prodotto nell’ambito del Master SGP di Sapienza Università di Roma
Fonte:https://www.galileonet.it/2018/06/salute-mentale-poverta-relazione-pericolosa/