Nella «salute mentale» cʼè tutto lʼuomo

Fonte: è vita del 05/04/2018, inserto di Avvenire


Pubblicato il 05/04/2018

Articolo di Paolo Viana

Settecentomila italiani sono in cura per problemi psichiatrici. E ottocentomila sono i malati di gioco di azzardo patologico. Eppoi c’è la marea delle demenze, che monta in questa società sempre più vecchia. Una sofferenza vasta quanto silenziosa, che ricade soprattutto sulle famiglie, come ha ricordato più volte papa Francesco. Il Servizio sanitario nazionale cerca di offrire a questi problemi una risposta qualificata attraverso i 183 dipartimenti di salute mentale e numerosi centri specialistici, molti dei quali di ispirazione cattolica.
Ed è proprio in questa trincea del dolore che la Chiesa si inoltra con il Tavolo nazionale della salute mentale, creato da padre Carmine Arice e rilanciato alla fine dello scorso anno dal neo-direttore dell’Ufficio per la pastorale della Salute della Cei, don Massimo Angelelli. Si tratta di un think tank al quale afferiscono le competenze di 14 professori psichiatri e psicologi di riferimento nei diversi ambiti della psichiatria nazionale. L’obiettivo è propiziare la cosiddetta risposta integrata: aiutare l’evoluzione dell’assistenza psichiatrica
nella direzione del bene concreto della persona, realizzando percorsi di formazione e integrazione tra le istituzioni cattoliche impegnate in quest’area e le istituzioni laiche, a partire dalla scienza medica. Numerose le istituzioni sanitarie coinvolte. Di matrice ecclesiale sono l’Irccs Fatebenefratelli di Bresciaì (unico specializzato nella malattia mentale degli adulti) e quello per la psichiatria infantile dell’Istituto Medea a Bovisio Parini (Lecco), della Fondazione La Nostra Famiglia. E poi tanti centri di ascolto e servizi di accoglienza per il disagio mentale creati nelle diocesi. Al Tavolo si discute sui percorsi migliori per diventare «comunità capaci di ascolto, accoglienza, "relazione terapeutica", compassione vera, che aiutino il malato a superare il senso di inutilità e di peso sociale» come dice don Angelelli, ma anche di ricerca scientifica, di risorse pubbliche, di piani sanitari e di drg, di prevenzione...
I partecipanti lavorano da tempo per l’umanizzazione dei percorsi di cura, ma, come ammette don Angelelli, «l’obiettivo di una formazione integrale degli operatori è ancora lontano» e la formazione è una delle priorità che si è data la Cei. D’altro canto, rispetto al passato l’approccio olistico, che si traduce in uno «sguardo su tutto l’uomo nelle sue dimensioni fisico-biologica, psichica, sociale, culturale e spirituale», come sintetizza il sacerdote, oggi unisce la sanità cattolica e quella laica. Lo stesso accompagnamento spirituale è entrato nella prassi clinica.
L’attenzione per il tema della salute mentale rientra nella tradizione pastorale della Chiesa. San Giovanni di Dio, ideatore dell’ospedale moderno, iniziò la sua predicazione tra i malati di mente della Spagna cinquecentesca. Eppure, se consideriamo epoche più recenti, anche la Chiesa ha subìto l’effetto dello stigma che ha blindato questo recesso sociale. Le cose sono cambiate a partire dagli anni Ottanta con la legge per la chiusura dei manicomi, ma solo quarant’anni dopo la società sembra aver fatto pace con le proprie paure, chiudendo anche gli ospedali psichiatrici giudiziari. In questa prospettiva storica diventa comprensibile perché la Chiesa italiana abbia deciso di istituire un tavolo di questo tipo, dove si lavora anche per favorire un più intenso dialogo con il mondo scientifico: è avvenuto nell’ambito del XXII Congresso nazionale della Società italiana di psicopatologia (Sopsi), dove si è parlato anche di Accolti.it, portale per l’accoglienza della disabilità psichica, con cui raccontare, evidenziare e condividere progetti, esperienze e buone pratiche di accoglienza. Annuncia don Angelelli: «Vogliamo aprire il capitolo riabilitazione psichiatrica e neuropsichiatrica». Come spiega uno dei moderatori del Tavolo, Giovanni Battista Tura, primario di psichiatria dell’Irccs Fatebenefratelli, «il contributo che la nostra attività quotidiana può portare alla riflessione della Chiesa e, in termini di confronto culturale e metodologico, alla psichiatria è quello di un ri-orientamento delle teorie e dei modelli, in una logica che veda realmente la centralità della singola persona e non già dei sistemi di cura.
Mettere al centro il malato, con la propria specifica umanità, con la sua "unicità" di fragilità, e pertanto rivedere da una prospettiva individuocentrata le sofferenze psichiche, non è un atteggiamento solo virtuoso e umanizzante ma si rivela come l’approccio necessario perché gli interventi e gli esiti siano sostenibili ed efficaci».
Per contro, ciò che ancora disumanizza è lo stigma, come spiega Tonino Cantelmi, docente di Cyberpsicologia all’Università europea di Roma, secondo il quale «bisogna spezzare il cerchio, e lo può fare la comunità cristiana. Anzi, le Chiese italiane fanno tantissimo, creano rete, ma occorre fare un passo avanti: che le comunità abbiano come progetto e obiettivo l’abbattimento dello stigma». Accolti.it va proprio in questa direzione.