La solidità è il vero antidoto alla paura

Fonte: l'ottimista


Pubblicato il 12/05/2011

di Luca Marcolivio

L’uomo del Terzo Millennio è segnato da enormi potenzialità e da altrettante contraddizioni. Una di queste è la scarsa capacità di dominare e razionalizzare le proprie paure. Si va dalle apparentemente insignificanti idiosincrasie del quotidiano (la fobia per la sporcizia, quella per il traffico, ecc.) alle grandi paure collettive legate ai cataclismi e alle guerre che i mezzi di comunicazione ben difficilmente riescono ad attutire. La paura è un sentimento umano tendenzialmente “neutro”: può aiutarci a intuire i pericoli e a indirizzarci verso condotte prudenti, ma quando diventa patologica può precludere molte opportunità e trasformare la nostra vita in un inferno. In realtà la maggior parte di queste fobie patologiche sono il frutto dell’immensa solitudine dell’uomo moderno, del suo malinteso concetto di libertà, della sua deliberata rescissione dei legami stabili, dei vincoli affettivi e sociali di tipo “tradizionale” in grado di conferire solidità alla nostra vita. Ne abbiamo parlato con Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, autore di numerose pubblicazioni sulle problematiche della “società liquida”. E abbiamo scoperto come è possibile vincere queste paure.

Prof. Cantelmi, qual è la definizione più consona di paura secondo voi psichiatri?

“La paura consente di riconoscere il pericolo e di evitarlo. L’assenza di paura è patologica: può indurre comportamenti rischiosi o francamente antisociali. La paura è una emozione di base, innata, universale, che attiva nel nostro organismo muscoli, cuore, polmoni e ci rende pronti a combattere o a fuggire. Il problema nasce quando proviamo paura senza che ci sia un pericolo. Per esempio: entro in un ristorante e mi manca l’aria, mi sento svenire ed ho la tachicardia. Questo è un attacco di panico, legato alla paura di un luogo chiuso, ma non pericoloso”.

L’epoca attuale si caratterizza per un altro paradosso più che mai evidente: la scienza e la tecnologia si evolvono alla velocità della luce, eppure l’uomo si sente più che mai insicuro. Come si spiega tutto ciò?

“La scienza e la tecnologia hanno fallito la promessa di rendere l’uomo felice e libero di essere se stesso. In realtà stiamo assistendo ad un clamoroso incremento del disagio mentale: nel 2020 la depressione sarà la prima causa di invalidità nel mondo. E che dire delle nuove forme di dipendenza, come la dipendenza sessuale o quella da internet? In generale esiste una “paura” di fondo, che sembra pervadere l’anima dell’uomo “tecnoliquido” di questo inizio di millennio. È la conseguenza della liquidità, cioè della instabilità dei legami affettivi, relazionali e sociali: l’uomo “tecnoliquido” paga un prezzo salato per la fallita promessa di felicità”.

Mai come in quest’epoca le fobie sono fenomeni sociali, collettivi: paura della recessione economica, della disoccupazione, delle malattie, delle pandemie, delle catastrofi naturali, dei conflitti, dell’immigrazione (a ragione o a torto). C’è anche – e tra questi figurano molti giovanissimi – chi vive nell’incubo della fine del mondo, da taluni profetizzata per il prossimo anno. Tutto questo è un fenomeno sottovalutato a suo avviso?

“Le paure collettive hanno sempre accompagnato i periodi di transizione. L’inizio del terzo millennio è un periodo di transizione: l’uomo postmoderno non riesce ancora a definirsi e la tecnoliquidità è al momento la cifra interpretativa della realtà. Vorrei rilanciare un allarme: siamo molto preoccupati dalla precocità e dall’abuso alcolico nei giovanissimi europei. All’abuso alcolico si accompagna una incredibile diffusione della cannabis. Stiamo crescendo una generazione di “nativi digitali” che sembra esprimere un malessere che prima ancora di essere psicologico, appare esistenziale”.

La domanda più importante: come vincere le paure individuali e collettive?

“Intanto siamo tutti chiamati a ricostruire riferimenti “solidi”. Una società senza riferimenti è insicura e facile preda di paure irrazionali e collettive. Abbiamo bisogni di riferimenti certi, quindi di genitori, educatori e persone che si assumano la responsabilità della crescita dell’altro. Abbiamo bisogno di ricostruire trame relazionali che non siano solo virtuali o narcisistiche, ma reali, concrete, autentiche. Abbiamo bisogno di essere meno veloci, meno efficienti, meno superficiali e di riscoprire la bellezza della riflessione. Abbiamo in definitiva bisogno di ricostruire un “ambiente” capace di rigettare la sirena della liquidità”.

Fonte: L'Ottimista