In città: Alcolismo tra adolescenti

Fonte: Roma Sette dell' 11 aprile 2011


Pubblicato il 22/04/2011

 

Lo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi spiega il fenomeno, in pericolosa crescita. «L'abuso alcolico non è solo più precoce, ma anche più estremo. È una questione di dolore»

di Jacopo D'Andrea

Un’aggressione da parte di alcuni ragazzi (ripresa e postata su Youtube) a un turista inglese ubriaco che si era denudato a Campo De’ Fiori. Una ragazzina finita in coma etilico nella stessa zona. Episodi di cronaca che hanno fatto riemergere il problema alcol-adolescenti durante le sere romane. Tant’è che il sindaco Gianni Alemanno ha predisposto un’ordinanza che dal 1 aprile al 30 giugno vieta la vendita di alcool dopo le 23 al di fuori dei locali dei quartieri della movida come Trastevere e San Lorenzo. Ma il provvedimento prevede, inoltre, pesanti multe per chi viene sorpreso a consumare alcolici per le vie pubbliche dalle 23 alle 6 del mattino. E qualche giorno dopo, il rapporto Istat e quello Espad (progetto europeo che monitora il consumo di alcol e di droga tra gli adolescenti) sul consumo di alcolici ci mostra come l’uso-abuso fra gli adolescenti di questo tipo di bevande sia aumentato notevolmente. Il 14,5% dei ragazzi e il 10,2% delle ragazze della fascia 11-17 anni ha comportamenti a rischio per quel che riguarda il consumo di alcol (dati Istat). Di questo e di altro abbiamo discusso con il professor Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta esperto di dipendenze comportamentali.

Il rapporto Istat e quello Espad ci indicano che è molto aumentato il numero di adolescenti che abusa di alcol regolarmente, e che l'età del primo incontro con esso si sta ulteriormente abbassando: come spiega questo boom alcolico? Il fenomeno della "precocità" riguarda in generale i bambini e gli adolescenti: tutto è "consumato" prima e molto rapidamente. L'abuso alcolico non solo è più precoce – abbiamo casi di bambini di 11 anni – ma anche più estremo, più compulsivo e segue modalità e ritmi diversi dall'abuso alcolico "classico": è contaminato da sostanze, comportamenti di sfida alla morte, sessualità. Gli adolescenti hanno scoperto l'alcol e lo usano come una "miccia" per accendere esplosioni emotive (lo sballo) e spegnere l'angoscia. Occorre sottolineare che sino ai 15-16 anni l'Oms consiglia la totale astensione dall'alcol e quindi la precocità dell'abuso è da considerarsi un rischio grave per la salute dei ragazzi

Si sta intensificando la moda nordeuropea del binge drinking, ovvero il bere compulsivamente senza mangiare durante le uscite notturne, in modo da ottenere lo "sballo". Inoltre, il rapporto Espad mostra che il 42% dei ragazzi minorenni e il 21% delle ragazze minorenni beve solo per ubriacarsi. L'alcol è per loro una moda pericolosa come, ahimè, ce ne sono tante oppure il suo abuso è sintomo di un disagio profondo? L'abuso alcolico corrisponde a due esigenze dell'epoca moderna: il bisogno di "emozioni forti" e la spinta narcisistica alla sfida ad oltranza, in una logica di "grandiosità" e di "onnipotenza". È questo il mix psicologico alla base dello sballo alcolico e del binge drinking. Il bisogno di provare emozioni forti, sensation seeking, nasce dal bisogno di lottare contro un sempre più grave senso di vuoto che sembra pervadere l'intimo di molti adolescenti. Il bisogno narcisistico di sentirsi onnipotenti nasce dalle sempre maggiori insicurezze e incertezze di adolescenti privi di autentici punti di riferimento esterni.

Un tempo chi abusava di alcol era una persona matura, spesso proveniente da un contesto sociale disagiato. Invece, ora, pare che l’ubriacarsi sia divenuto uno status symbol fra tanti giovani e giovanissimi della moderna società del benessere. Solo un'impressione? Il consumo di alcol, utilizzato come sballo, spesso insieme ad altre sostanze e spesso, purtroppo, associato a comportamenti estremi, non è legato a un disagio sociale, ma a un disagio psicologico, al dolore interiore di adolescenti costretti a cercare risposte in un contesto ambiguo, dove gli adulti sembrano rincorrere le mode adolescenziali o restare in un desolante silenzio. In altri termini non è questione di povertà, ma di dolore.

E allora, come possono le famiglie e le scuole prevenire i comportamenti a rischio? Ecco il punto: i genitori di oggi sono affettuosi, vogliono bene ai loro figli, sono accudenti, ma hanno rinunciato a educare, cioè a narrare se stessi, a trasmettere valori e idee, a mettersi in gioco in modo autentico. Assistiamo cioè ad un terrificante silenzio degli adulti, alla loro fuga dalla responsabilità educativa, a scelte ambigue e ambivalenti. E le agenzie educative, come la scuola, sembrano travolte dalla crisi dell'educazione. Così le comunità dei bambini e degli adolescenti costruiscono un sapere tecnoreferenziato e imparano a fare a meno di adulti più fragili di loro. Occorre recuperare il coraggio dell'educazione, in altri termini dobbiamo piuttosto pensare a scuole per genitori: insomma dobbiamo educare i genitori a fare i genitori.

Fonte: Romasette 11 aprile 2011

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