Il conflitto e le sue dimensioni

Fonte: DottrinaSociale.it 2014


Pubblicato il 22/09/2014

Il conflitto e le sue dimensioni
“Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato” (EG 226). Parola di Papa Francesco. E già, perché la dimensione conflittuale, sia nella sua versione intrapsichica che in quella interpersonale, appartiene inevitabilmente all’umano. Non possiamo fare a meno di configgere con noi stessi: se ciò non avviene trasforma la persona in un fanatico o in un antisociale, se ciò avviene troppo la paralizza in una sorta di dramma interiore perpetuo. Non possiamo fare a meno di configgere con alcuni: la dimensione conflittuale interpersonale attiene alla realtà dell’umano. Il conflitto, dice Papa Francesco, “deve essere accettato” (EG 226). Per fortuna stiamo lasciando alle spalle la lunga stagione della negazione pedagogica del conflitto: confliggere è brutto e negativo sempre, usiamo  dunque una pedagogia a-conflittuale per far crescere i nostri figli. Genitori vili, assenti o semplicemente spaesati hanno abbracciato queste forme pedagogiche disastrose. Lo stesso caos ha riguardato molti approcci psicoterapici alle problematiche della coppia: la conflittualità ha solo una via di uscita, la fuga dalla coppia. Insomma per un certo tempo la pedagogia e la psicologia hanno rifiutato il valore del conflitto. E sì, il conflitto ha un valore. Per questo deve essere accettato. Accettare il conflitto significa accettare l’altro, anzi sentirlo importante, tanto da “lottare” con l’altro e per l’altro. Accettare il conflitto significa scoprire il limite. Ogni conflitto è legato alla percezione di un limite frustrante, ma pur sempre un limite. La spinta narcisistica dei nostri tempi sostiene la necessità di soddisfare senza limiti i nostri bisogni e nutrire ego sempre più elefantiaci e tronfi. Il conflitto ci riporta inevitabilmente al tema del limite. Inoltre la presa di coscienza che non tutti i conflitti possono essere risolti costringe a cercare un qualcuno o un qualcosa che sia al di là dei contendenti. E’ questa la valenza trascendente del conflitto. In altri termini il conflitto esiste, dentro di noi e tra di noi, e svolge persino un ruolo significativo in senso positivo. Infatti il punto fondamentale è riscoprire la valenza evolutiva del conflitto.
 Il conflitto, spirale mortale o anello di un processo di cambiamento
“Se rimaniamo intrappolati in esso” dice Papa Francesco, allora “perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata” (EG 227). Intrappolati nel conflitto: questa condizione potrebbe essere drammatica. Rimanere intrappolati nel conflitto significa non innescare processi evolutivi o addirittura promuovere processi involutivi, come lo svilupparsi di forme di violenza, di sopraffazione e di aggressione.  Il conflitto dunque può divenire una sorta di spirale mortale per l’uomo: è quello che sperimentiamo costantemente quando, a causa della nostra immaturità, non riusciamo a superare le aree conflittuali personali e interpersonali. Se dunque il conflitto, sul piano antropologico, è una realtà ineludibile dell’umano, non resta che accettarlo e “trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo” EG227). In questi ultimi anni la psicologia sta riscoprendo il tema del perdono, troppo spesso relegato all’ambito religioso. Il tema del perdono, come processo di risoluzione del conflitto e di rinnovamento delle relazioni, è un tema centrale oggi in molte riflessioni psicologiche.
L’unità è superiore al conflitto?
Trasformare il conflitto significa molte cose, ma anche accogliere e promuovere forme di crescita umana fondate sul perdono e sulla riconciliazione, cioè su forme di unità profondamente nuove. Perdonare e riconciliarsi non significa dimenticare, ignorare le differenze, far finta di nulla, negare il male ricevuto, minimizzare, giustificare o scusare: significa innescare processi psicologici caratterizzati dalla capacità di rigenerare le relazioni e noi stessi. In questo senso l’unità è superiore al conflitto: lo è perché è ri-generativa, non semplicemente riparativa, mentre il conflitto è paralizzante e frammentante. Sul piano psicologico l’unità, intesa non come negazione delle differenze, ma come generatrice di nuove realtà personali e relazionali, è superiore al conflitto proprio perché non è un qualcosa di riparativo, di terapeutico, di ricostruito: è capace di generare un meccanismo profondo che genera nuova vita. Il conflitto è mortale, l’unità è vitale. Questa dimensione, che potremmo definire della “pacificazione delle differenze” (EG 229) ha un ambito primario: l’interiorità dell’uomo. “Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire una autentica pace sociale” (EG 229)
Pace e postmodernità tecnoliquida
Ecco dunque emergere la necessità di pacificare il nostro stesso cuore, come primo atto unitario capace di generare la pace. Certo, se pensiamo che l’aspetto più significativo della postmodernità tecnoliquida è proprio quello inerente la frammentazione dell’identità umana e la rinuncia all’unitarietà del sé, a favore di una molteplicità persino contraddittoria delle frammentazioni identitarie, se riflettiamo su questo allora possiamo cogliere il formidabile annuncio dell’EG quando ribadisce che l’unità è superiore al conflitto e proclama l’unità del cuore come fondamento di un autentico percorso di pacificazione dell’uomo e della società. L’uomo postmoderno è immerso nella liquidità dell’esperienza umana: nulla è unitario, tutto è frammentato e la contraddizione non è risolvibile: si può essere dunque in un modo e poi in un modo opposto, senza che questo generi contraddizione, anzi il tutto è esaltato e amplificato dall’irruzione prepotente della tecnologia virtuale. Il cuore spezzato in mille frammenti è dunque una realtà dei nostri tempi. L’annuncio della pacificazione del cuore come di un processo di unitarietà attraverso la riconciliazione delle differenze è una risposta forte alla disgregazione interiore, fonte a sua volte di frammentazione sociale e di disarmonia. La pace sociale dunque non può che essere il risultato di una profonda pacificazione dell’uomo con se stesso.

Fonte: dottrinasociale.it