Bullismo, società de-umanizzata

Fonte: RomaSette del 29/04/2018


Pubblicato il 03/05/2018

Cosa scatta nel cervello di un ragazzino quando costringe un altro ragazzino a “fare il cancellino” della lavagna o minaccia un impietrito e patetico professore o precipita giù dalla scogliera un anziano, così, tanto per provare che effetto fa, sovvertendo anche il principio di rispetto per chi ha percorso gran parte della vita? O meglio, cosa non scatta? E la stessa domanda potremmo farla pensando ai vandali minorenni, che pochi mesi fa, nella già provata città di Taranto, devastavano ripetutamente il luogo dove dovrebbero crescere come futuri cittadini, la scuola, così, senza alcun senso, sfregiando e sfidando, tanto da costringere il Presidente della Repubblica a sanare la ferita con la sua visita ai luoghi profanati. E cosa scattò (o non scattò) nella sciagurata e mai chiarita vicenda di Pontelangorino, minuscola frazione, dove tutti si conoscono e dove tutti sono stati puntualmente sorpresi dal comportamento dei due sedicenni che hanno ucciso a colpi di ascia (a colpi di ascia nel sonno!!) i genitori di uno dei due, sfregiando senza pietà uno dei comandamenti più belli, “onora tuo padre e tua madre” perché sarai felice, espressione della gratitudine per la vita e patto fecondo tra le generazioni perché la vita stessa abbia futuro? E le stesse domande potremmo ripeterle per gli incredibili e dolorosi episodi di cyberbullismo, troppi, dove vittime designate vengono umiliate sui social in modo crudele e senza pietà, da cyberbulli sprezzanti (e dall’indifferenza o dal silenzio colpevole di tanti coetanei responsabili di un cybermutismo inquietante e spettrale). Cosa impedisce ai ragazzini di oggi di percepire le conseguenze reali del loro agire, di cogliere il dolore inflitto all’altro, di non superare almeno i limiti irreversibili, quelli della vita e della morte? No, non pensate ai videogiochi ed al loro carico di aggressività, all’assenza dei genitori (troppo adultescenti e sbiaditi per occuparsi delle vite dei piccoli), al collasso dell’educazione (professori in fuga, genitori sotto scacco, adulti vigliacchi), alla desertificazione delle famiglie (dove il velocissimo bofonchiare qualche monosillabo è la massima espressione del dialogo), alla spinta al narcisismo e all’onnipotenza, alla negazione del limite come stile di vita. No, non pensiamo a tutto questo. O almeno non solo. Perché per spiegare tanta crudeltà dobbiamo pensare ad un processo più radicale, che porta alla inesorabile accelerazione di una perdita dell’umano, una sorta di de– umanizzazione sociale (e social), dove le vittime, anziani o genitori o coetanei, sono spogliati dell’umano e oggettificati. Siamo più crudeli, perché i processi di de–umanizzazione sono più prepotenti, più pervasivi e più persistenti. E forse in questo il trionfo della tecnologia gioca un ruolo non proprio innocente.