Nomofobia portami via....

Fonte: Progetto Orientamento Giovani - Associazione di promozione sociale


Pubblicato il 09/06/2017

Sono le 7:30 del mattino, tra pochi minuti passa il tuo autobus e tu ancora non sei pronto: controlli sull’app la distanza tra il tuo pullman e la tua casa, da un’occhiata a whats’app, un salto su facebook, un selfie per i tuoi follower di Instagram, poi uno sguardo all’orario. Non hai tempo, devi recuperare: ti lavi i denti e infili i primi vestiti che trovi sulla sedia, prendi tutto quello che hai sulla scrivania e senza fare alcuna distinzione tra libri di scuola e l’ultimo numero di Rat-man ficchi tutto nello zaino, poi cominci a correre. Corri come un’atleta alla finale delle olimpiadi, in mano hai l’astuccio, il diario, uno snack recuperato al volo, il caricatore del cellulare, le chiavi di casa e una felpa. Sali sul tuo autobus che sei riuscito a prendere per un pelo, riprendi il fiato che hai perso in quei 200 metri di insospettabile sportività e ti adagi sul sedile con lo stesso entusiasmo di chi sale vittorioso sul podio. Finalmente!! Metti la mano in tasca per prendere lo smartphone e rispondere con calma a quelle 97 notifiche che avevi appena visto. Il telefono non c’è. Cerchi nello zaino, sarà sicuramente lì. Niente. Cominci a sudare freddo, ricontrolli nei pantaloni, nella tasca esterna della sacca, ti guardi addirittura intorno, per terra, cerchi conforto negli occhi degli altri viaggiatori, ma niente. Il cellulare lo hai dimenticato in camera. PANICO!

Non sai cosa fare, ti senti perso. Mille pensieri al secondo. Provi a ragionare, non sai se è il caso di scendere e tornare indietro, ma in quello stesso momento ti chiedi: Saprò tornare a casa senza senza google maps? Senza l’app che mi dice dove sono, chi sono,cosa faccio e quante calorie ho bruciato? Il terrore è troppo. Pensi allora che una volta arrivato a scuola avviserai tramite un amico i tuoi genitori, chiedendo la gentilezza di portarti il telefono. Subito si spegne l’entusiasmo per quest’ultima genialata, perché ti rendi conto che tu il numero dei tuoi genitori e il numero di casa non li sai a memoria. Sei totalmente piombato nella realtà senza il tuo smartphone e non sai più prendere una decisione! Ti senti solo, insicuro.

Può sembrare un’esagerazione dovuta sicuramente ad una certa estremizzazione della scenetta appena raccontata, ma non è poi così lontano da quanto ci accade quando rimaniamo senza telefono. Ed oggi questa sensazione di insicurezza dovuta all’assenza del cellulare ha un vero e proprio nome: NOMOFOBIA che sta per : NO MOBILE PHOBIA. E’ un vero e proprio fenomeno che prende sempre più piede in questo secolo ipertecnologizzato, senza fare distinzione di età tra adulti, anziani e giovani, ma il dato è decisamente più preoccupante se parliamo di adolescenti. La generazione nata col telefono in mano, vive un vero e proprio stato di ansia e stress se si ritrova sconnessa. Essere rintracciabili sempre è la sicurezza che abbiamo dai nostri huawei, iphone, samsung, e sembra essere la priorità della nostra quotidianità.

Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale, in un’intervista (che si può leggere sul suo sito) spiega nel dettaglio il fenomeno. “Il telefonino non è esattamente un telefono: è parte integrante dell’identità dell’uomo tecnoliquido, l’abitante della postmodernità tecnoliquida, cioè di una società in cui la tecnologia digitale e la liquidità dell’essere si sono stretti in un fatale abbraccio. Non solo è parte integrante di noi, è la nostra memoria, è il collegamento permanente con il mondo, con la rete, con i social, con tutta quell’area prepotente e ineliminabile che chiamiamo “socializzazione virtuale”. E’ dunque fonte del nostro nuovo modo di esserci. Rimanere senza cellulare per alcuni, sempre più numerosi, è come rimanere nudi: impossibile. Stiamo transitando nella società “incessante”. La società sempre attiva, sempre più incapace di staccare la spina (”Inability to switch off ”, così si chiama la sindrome che affligge i workalcoholic del terzo millennio), sempre lì a digitare, a twittare, a condividere, senza differenze tra giorno e notte, tra feriale e festivo, tra casa e ufficio, come se fosse avviata verso una colossale dipendenza dalla “connessione”. Poco più di dieci anni fa, presentai in un congresso di psichiatria a Roma i primi quattro casi italiani di dipendenza da internet. Oggi abbiamo una diffusa dipendenza dalla tecnologia digitale e in questa dipendenza il telefonino gioca un ruolo importante. La “Inability to switch off” è però un po’ di più della dipendenza diffusa, che ci riguarda tutti. Parliamo perciò di dipendenza specifica solo quando questo comportamento è coercitivo, schiavizzante e troppo interferente con la nostra vita.”

Ovviamente entriamo nella sfera patologica là dove ci troviamo di fronte ad una personalità più fragile del comune, ma pensiamo anche ai giovanissimi, gli adolescenti la cui età si può definire fragile e delicata proprio perché in fase di sviluppo. Ci ridiamo e ci scherziamo ma la realtà è questa, come è anche ben dipinto nel film “Beate ignoranza” dove Alessandro Gassman, nei panni di un giovane professore narcisista e dipendente dal telefono, accetta la sfida di vivere per due mesi senza alcuno strumento tecnologico, riscontrando – dopo tante difficoltà – una notevole sensazione di benessere. Altrettanto si può dire dell’esperimento trasmesso su Rai 2 con il Reality “Il Collegio”. Qui un gruppo di adolescenti ha vissuto per 30 giorni in una struttura ambientata negli anni ’60. Il caso è stato interessantissimo perché, in seguito ad una fase iniziale di ribellione e di palese disagio, gli studenti hanno iniziato ad accorgersi della bellezza delle relazioni, di condividere emozioni, stati di animo stando accanto alla persona e guardandola negli occhi, hanno imparato a impegnare il tempo con attività edificanti tra cui sport, musica, studio, e momenti di ricreazione. Il risultato finale? Un grande stupore da parte dei partecipanti, volti trasformati, riflessioni profonde a capacità di autocritica da quegli stessi ragazzi che a inizio programma ritenevano impossibile una vita senza cellulare.

Insomma, è chiaro che la parola nomofobia entrerà sempre più nel lessico quotidiano, ma noi cosa decidiamo di fare? Siamo consapevoli di essere dentro questo meccanismo? Proviamo ogni tanto a staccare “la spina” per vivere sempre più dentro la realtà e sempre meno dietro uno schermo? Se è vero che il fenomeno è maggiormente preoccupante per gli adolescenti, c’è da ricordare una piccola regola educativa: i bambini, i ragazzi, guardano noi adulti, aspettano da noi l’esempio, attendono da noi alternative che riempiano quelle ore senza connessione. Siamo disposti a metterci per primi in discussione? Ai posteri l’ardua sentenza…

Fonte: Progetto Orientamento Giovani - Associazione di promozione sociale